La condom etica. Elzevìro di Bruno Pezzella

La condom etica

 

di Bruno Pezzella*

 

Che possa essersi modificato nelle coscienze comuni il concetto di etica, va con il tempo nuovo, con i ritmi delle nuove responsabilità e delle coscienze modificate. L’individuo contemporaneo ribalta nelle cose materiali e nel piacere immediato la propria identità, la trasferisce negli oggetti, la riversa nelle immagini, proietta nell’utile le scelte cruciali, nel concreto capovolge ogni idealismo astratto, nel bello ad ogni costo la speranza di sopravvivenza e di futuro, nel trash la necessità di non riflettere, nel superficiale la conquista immediata di una felicità seriale. Delegittima l’etica nel rifiuto di affrontare le conseguenze di una qualsivoglia scelta, oppure la derubrica a semplice manuale di convenienza, rifugiandosi in processi sommari, accucciandosi in una zona neutra.

La repulsione di ogni etica non affligge soltanto i corridoi della politica o i salotti della finanza, o le cupole del malaffare. E’ piuttosto un costume di vita: si privilegia un sistema di pensieri che escluda in tutto o in parte ciò che possa turbare, annoiare o deprime, che faccia perdere inutilmente energie, che crei scrupoli fastidiosi. Si cerca così la distanza da ogni qualsiasi coinvolgimento diretto.

Dimentichiamo troppo e facilmente, sdoganiamo principi morali e coscienze fondati sul ricordo e sul riconoscimento giusto di certi comportamenti. Scarichiamo piuttosto memorie da sistemi informatici, e sempre meno ne valutiamo il contenuto etico.

Ogni scelta è orientata dall’opportunità, dal vantaggio personale, dalla preventiva valutazione dell’utile e dell’inutile.

E’ un atteggiamento preventivo o preservativo, una specie di condom etico che si indossa sopra ogni comportamento e che finisce per diventare un modo comune e condiviso di essere.

Ha pieno campo, dunque, il principio di dover essere responsabili solo di sé stessi. Prevale il pensiero di “non decidere” o di “decidere il meno possibile” per diminuire al minimo i danni, ridurre le responsabilità verso gli altri,  evitare impicci e complicazioni.

Nella società liquida nessuno si assume direttamente le responsabilità di un fatto, di una dichiarazione, di una presa di posizione e se lo fa è perché vi è stato costretto, o gli conviene; e spesso non si tratta di una iniziativa spontanea, di una scelta libera e ponderata. Nell’era della responsabilità oggettiva è difficile individuare che sia oggettivamente responsabile di un disastro, di un fatto grave, di un evento negativo. Lo scarica barile è uno sport molto frequentato. Si trova il modo di riversare tutte le responsabilità di qualsiasi avvenimento spiacevole o difficile da gestire, su un’altra persona, più esposta, più accomodante, succube, ignara, insicura, ignorante. Il responsabile è spesso invisibile, si  mimetizza nella massa, paradossalmente è protetto proprio dal proprio ruolo di responsabile, è molte volte è convinto realmente di non essere oggettivamente responsabile. E alla fine della catena paga il più debole: è l’epoca degli Schettino, o dei piloti depressi, del chirurgo che opera in ospedali disastrati, del professore che viene filmato mentre legge il giornale, dell’impiegato disonesto (ma controllabile ) che timbra per il collega essente. Comunque sia andata, è sempre colpa di un altro.

L’etica che prevale è soffocata da una nuova e inopinabile rozzezza. Charles Péguy scrittore saggista poeta francese della fine ‘800 ed erroneamente considerato un conservatore  – tra l’altro fondatore di una libreria che poi fallì (corsi e ricorsi) –  scrive: “Attraverso un’esperienza diffusa e dolorosa abbiamo compreso ab­bastanza bene che tutti siamo coinvolti in questi microprocessi etici, e che la somma di tutto ciò si trasforma in scelte politiche, economiche, morali che escludono a priori ogni tipo di valutazione o comparazione secondo schemi etici.”

Dunque, da capo a capo: non sempre l’intenzione etica determina scelte etiche. A questo si aggiunga il tramonto di molte ideologie eticamente fondate alle quali era legato il vecchio scenario.

Quindi, non crisi morale epocale, ma piuttosto complessità morale all’interno della quale è difficile praticare un’etica universale. La fine degli ideali, la corruzione non soltanto in politica, vengono visti da più parti come l’annuncio della catastrofe, e vissuti come un evento ineluttabile. E tutto quanto si intreccia con la memoria perduta e con il sentimento costantemente rinnegato della rimembranza.

Tuttavia la catastrofe è un male necessario, secondo il matematico e filosofo francese René Thom,  e serve in pratica ciclicamente a ristabilire gli equilibri (qualsiasi forma deve la sua origine ad un conflitto) e insomma – lo scrive Voltaire nel Poema sul disastro di Lisbona – non tutto è predisposto a favore della nostra felicità. Per Kant e Rousseau, la catastrofe è l’autentica e forse unica esperienza umana di conoscenza.

 

Il concetto mutato di etica

“Negli ultimi cinquant’anni il concetto di responsabilità è stato inteso sempre meno come risposte a regole prestabilite e sempre più invece come risposte da dare alla realtà che il futuro ci prospetta.” (Aldo Masullo) (1) Il concetto di etica modernamente inteso cui fa riferimento Masullo, contiene un altro elemento di grande novità che è costituito dal continuo inventare che, in questa ottica, l’etica propone.

(1)Aldo Masullo, Filosofia morale, Editori Riuniti, 2005

Essa infatti esprime la capacità di delineare inedite forme di comportamento rispondenti ad esigenze nuove.  In questa direzione si può arrivare a teorizzare anche che non sia necessario rispettare regole prestabilite se le intenzioni siano eticamente sostenibili. E questo lo si vede osservando le nuove generazioni che molto spesso non si pongono nei confronti degli anziani come continuatrici, non sanno più che farsene della memoria storica, e negano che la scelta, ogni qualsivoglia tipo di scelta, debba essere orienta dell’etica, soprattutto perché non la ritengono necessaria a risolvere i problemi futuri.

In questo contesto, il fallimento delle vecchie regole morali, puntualmente riportato dalle cronache, ha accelerato la discesa verso la percezione che sia proprio la morale intesa in senso tradizionale – peraltro continuamente trasgredita –  ad opporsi alla crescita ed allo sviluppo in molti settori.

Nuovi ed altri temi incombono: la crescita demografica, l’inquinamento e il surriscaldamento globale, crisi energetica, il fallimento dell’istruzione pubblica, l’inoccupazione giovanile e la disoccupazione dei quasi vecchi e dei non più giovani.

Per prima cosa bisogna considerare come la terza rivoluzione industriale, che è soprattutto rivoluzione della comunicazione, si porti appresso l’esigenza di nuove etiche, di nuove, necessarie e a volte incomprensibili e dolorose scelte in campo morale. Il problema di tutti gli orientamenti politici consiste nel mettere insieme queste traiettorie non sempre convergenti, e trovare un nuovo sestante che serva ad orientare tutti i comportamenti, individuali e collettivi. E proprio perciò l’etica non può fare altro che indicare dei protocolli che garantiscano i diritti di libertà, creare criteri di equità che valgano per molte se non tutte le latitudini e per tutte le persone; imporre anche in politica una prassi che allontani il malaffare.

E là dove li sistemi di legge mostrano i propri limiti di applicazione, là dove la trasgressione è palese, prevaricante, irresponsabile, c’è bisogno di un nuovo catalogo di certezze, attorno al quale far scorrere le esistenze individuali.

E qui si ricompone il vero significato di etica che significa scelta secondo ipotesi morali e, in senso più moderno, responsabilità di dare risposte ai problemi.

E dunque, è cambiato il pensiero sull’etica che non si deve limitare soltanto all’indicazione generica di valori intesi come parametri da replicare e da scegliere, non deve insomma indicare soltanto modelli che spesso stanno fuori o lontani o addirittura in contrapposizione alle cose del mondo, ma piuttosto deve prospettare scenari futuri concreti.

L’etica moderna è  “responsabilità nel trovare soluzioni, per le risposte che si danno e le azioni che si intraprendono.” E questa in realtà è una urgenza di tutto il pensiero che si prospetta come un conflitto interno alla stessa filosofia non solo come etica: possedere cioè un mezzo di “pronto impiego” che sempre più deve progettare e risolvere i problemi non soltanto morali.

L’etica deve essere perciò un mezzo di intervento pratico nella realtà. Deve ispirare la produzione industriale ed il know-how, deve orientare le scelte nel rispetto dell’ecosistema, nel campo agroalimentare, nella progettazione urbanistica, nella programmazione dell’attività pubblica, nella comunicazione, eccetera.

Dunque, l’etica deve contribuire alla  creazione di regole di comportamento semplici e trasversali, certe e trasparenti che portino benefici alle comunità, sostenute da una legislazione condivisa e rispettata dal maggior numero di Stati.

La nostalgia del senso della vita, rimarcato da molti filosofi ( Morin, Bauman, Habermas), che sembra perduto e può essere l’unico ponte che porta oltre l’utilitarismo e il pragmatismo del mercato, il sopruso dei mass media, e il potere ambiguo della politica.

*Il brano è tratto dal libro di Bruno Pezzella, ADESSITA’ il tempo della provvisorietà e del transito, Cuzzolin editore Napoli 2017