Dello Statuto Albertino del 4 marzo 1848.

Lo Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia del 4 marzo 1848 (noto come Statuto Albertino, dal nome del re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia), fu lo statuto costituzionale adottato dal Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 a Torino.

Nel preambolo autografo dello stesso Carlo Alberto viene definito come «legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda». Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d’Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il 1º gennaio 1948.

Lo Statuto Albertino, in quanto costituzione flessibile, poteva essere modificato o integrato con legge adottata secondo la procedura ordinaria. Le leggi costituzionali, infatti, sono presenti nell’ordinamento italiano solo a partire dalla Costituzione del 1948, che è rigida

In seguito ai moti promossi dalle classi borghesi, cui talora partecipò anche l’aristocrazia, nelle principali città del Regno di Sardegna, Carlo Alberto prese una serie di provvedimenti di stampo liberale: nel 1837 emanò un codice civile, a cui seguì un codice penale nel 1839; nel 1847 riformò la disciplina della censura (imposta da Vittorio Emanuele I), permettendo la pubblicazione di giornali politici; creò, poi, una Corte di Revisione (ossia di Cassazione) per assicurare una certa uniformità della giurisdizione nello Stato, riducendo le competenze dei vecchi senati e pubblicando il codice di procedura penale basato sulla pubblicità del dibattimento. Su ispirazione austriaca, aggiornò anche la composizione del Consiglio di Stato, creato nel 1831, che sarebbe stato formato da due rappresentanti per ogni Divisione territoriale fra i Consiglieri delle Province componenti la Divisione, consiglieri provinciali che a loro volta erano scelti fra quelli comunali.

Gli avvenimenti dei primi mesi del 1848 sembravano comunque ancora confermare la resistenza ad ipotesi costituzionali, Carlo Alberto rifiutò in maniera netta l’idea di concedere una Costituzione e ne parlò al Consiglio di Conferenza del 13 gennaio 1848, prendendo in considerazione, secondo Cognasso, anche una possibile abdicazione al trono del Regno di Sardegna. Il 30 gennaio 1848 il Corpo Decurionale di Torino, riunitosi per discutere l’istituzione della Guardia Nazionale, apprendeva la notizia della concessione a Napoli, il giorno prima, della Costituzione da parte di Ferdinando II delle Due Sicilie. Il Corpo decise seduta stante di richiedere al Re una Costituzione anche per il Regno di Sardegna: Carlo Alberto in fretta e furia fece redigere una dichiarazione di principi che saranno alla base dello Statuto (termine ripreso dalla tradizione di Amedeo VIII di Savoia) e che vennero proclamati al popolo l’8 febbraio 1848, tre giorni prima che il Granduca di Toscana prendesse la stessa decisione ed un mese prima di Pio IX. Tali basi, indicate in quattordici punti, vennero formalmente concesse per la benevola generosità del sovrano, il quale unì al paternalismo una velata minaccia di non procedere oltre se i “popoli” non fossero stati “degni” delle sue manifestazioni di apertura. In questo modo, comunque, Carlo Alberto aveva tranquillizzato tanto i liberali quanto i democratici.

Il Consiglio di Conferenza, incaricato di redigere lo Statuto, ebbe come principale obiettivo quello di individuare, tra i modelli costituzionali europei, quello maggiormente congeniale al Regno di Sardegna, e che producesse il minor cambiamento possibile all’interno degli assetti istituzionali. Questo modello venne individuato nella Costituzione orleanista del 1830 e in quella belga del 1831. Pochi giorni dopo, tra il 23 e il 24 febbraio 1848, la Rivoluzione spazzava via da Parigi sia la monarchia sia la Costituzione. La sommossa parigina, che portò poi al potere Luigi Bonaparte, eccitò gli animi anche in Italia e fece balenare nella mente dei liberali più accesi e rivoluzionari l’idea di una Repubblica tale che quindi la promessa delle “basi” di Carlo Alberto sembrava ormai troppo limitata. Tuttavia ciò non mutò le posizioni del Re che il 4 marzo promulgò lo Statuto.

Nel 1861, con la nascita del Regno d’Italia, lo Statuto venne applicato in tutto il Regno. La natura flessibile dello Statuto garantì, sino agli anni venti, un’evoluzione parlamentare del sistema politico senza rendere necessarie modifiche effettive al testo originale: gradualmente i Governi cessarono di dipendere dalla fiducia del Re, mentre divenne necessaria quella del Parlamento. Anche il Senato perse importanza di fronte alla Camera dei deputati, il Re tuttavia mantenne una particolare influenza sulla politica estera e su quella militare: basti pensare che la tradizione voleva che i ministri della Guerra e della Marina (provenienti dai ranghi militari) fossero designati dal Re al Presidente del Consiglio dei ministri.

L’evoluzione parlamentarista dello Statuto cessò completamente con l’avvento della dittatura fascista[1]. Nel corso degli anni lo Statuto venne gradualmente stravolto attraverso leggi ordinarie contrarie allo spirito dello Statuto stesso: si pensi alla fine della libertà d’espressione, l’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello stato o alle leggi razziali.

Dopo la caduta del fascismo, crebbe il consenso che – qualunque forma istituzionale fosse stata scelta per l’ordinamento italiano – lo Statuto dovesse ormai considerarsi superato. Con il decreto-legge luogotenenziale del 25 giugno 1944, n. 151[2] venne stabilito che Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato.

Il decreto legislativo luogotenenziale del 5 aprile 1945 n. 146[3] istituì la Consulta nazionale, assemblea non elettiva di nomina governativa il cui scopo era fornire pareri sui provvedimenti legislativi che venissero ad essa sottoposti dal Governo. Infine il decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98[4] sancì le elezioni per l’Assemblea Costituente. Con la nascita della Repubblica Italiana e l’entrata in vigore della costituzione della Repubblica Italiana il 1º gennaio 1948, lo Statuto fu definitivamente superato.

Caratteristiche

Questioni formali

Lo Statuto non è mai qualificato con il termine costituzione, ritenuto ancora pregno di significati assiologici e non meramente descrittivi. Lo Statuto definiva una forma di monarchia costituzionale che si evolse verso una forma di monarchia parlamentare, rivelando una natura di costituzione flessibile (modificabile con legge ordinaria). Il sistema costituzionale italiano subì un’evoluzione dettata da una scelta costituente compiuta formalmente dal monarca, ma legata al concreto divenire del sistema politico. La prima modifica dello Statuto sarà quella relativa alla bandiera, da quella con la coccarda azzurra a quella con la coccarda tricolore, in occasione della ribellione del Lombardo-Veneto contro il dominio austriaco nel 1848. Il fatto che il testo si sia poi rivelato generico, nei fatti, si rivelò essere un vantaggio, perché ne permise un pacifico adeguamento a mutate esigenze e situazioni, come d’altronde in quasi tutte le carte costituzionali sette-ottocentesche (si pensi in primis alla Costituzione statunitense redatta nel 1787). Tale elasticità dello Statuto fece commentare da Arturo Carlo Jemolo che esso “visse di vita propria” per quasi cent’anni. Per lungo tempo, non ci furono modifiche formali del testo statutario, almeno fino al periodo fascista. L’elasticità del testo permetteva infatti di piegarlo ad una certa interpretazione (invocando certe espressioni a danno di altre), sottolineando un punto o un articolo piuttosto che un altro. Lo Statuto acquistò così, fin dall’inizio, un certo aspetto di intangibilità, proprio mentre nei decenni ne mutavano i contenuti effettivi. Lo statuto corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: limitandosi ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo.

 

Diritti e doveri dei regnicoli

Riconosce il principio di eguaglianza (art. 24: «tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge […]. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi»). Riconosce formalmente la libertà individuale (art. 26), l’inviolabilità del domicilio (art. 27), la libertà di stampa (art. 28), la libertà di riunione (art. 32). La religione, si scrisse, “è quella Cattolica, Apostolica e Romana”. Poco dopo verrà l’emancipazione prima dei Valdesi (17 febbraio- Lettere Patenti) e poi degli Ebrei (29 marzo) con il riconoscimento dei loro diritti civili e politici, infine con l’abolizione dei “privilegi” ecclesiastici a partire dal 2 marzo successivo con un decreto regio che cacciava i Gesuiti dallo Stato. Una legge di poco posteriore ( “Legge Sineo” del giugno del 1848) aggiungeva che la differenza di culto non formava eccezione al godimento dei diritti civili e politici e all’ammissibilità alle cariche civili e militari.

Ordinamento del regno

Lo Statuto stabiliva anzitutto che il trono fosse ereditario secondo la legge salica dando poi ulteriori disposizioni circa la successione reale in caso di minorità del re. Il re era capo dello Stato, capo del governo e capo di tutte le forze armate, la sua persona era «sacra e inviolabile», questo non significava che non dovesse rispettare le leggi (come previsto dal suo giuramento all’art. 22), ma solo che non poteva essere oggetto di sanzione alcuna. La sovranità non apparteneva alla nazione (benché all’art. 41 si faccia espresso riferimento ai deputati come «rappresentanti della Nazione») ma al re, il quale, da sovrano assoluto, si trasformava in principe costituzionale per sua esplicita volontà e concessione. Si usciva così dal regime assoluto e si entrava nell’epoca in cui il re vedeva i suoi poteri limitati dalla Costituzione ma non per questo diminuiti sensibilmente come si può pensare in base all’esempio inglese: il monarca sabaudo infatti “regna e governa” a differenza di quello britannico che ha una funzione solo istituzionale e non anche politica. Il re rimaneva il perno attorno al quale la macchina dello stato doveva ruotare: pur non detenendo completamente i tre poteri riuniti nella sua persona egli comunque ne manteneva larga parte, gli organi ai quali erano secondo lo Statuto delegati dovevano infatti gestirli in comunione con il monarca stesso: il popolo aveva un ruolo estremamente ristretto.

Il re esercitava il potere esecutivo attraverso i ministri di sua nomina che all’occorrenza potevano essere da lui destituiti; convocava e scioglieva la Camera dei deputati e aveva il potere di sanzione delle leggi, istituto diverso dalla promulgazione presidenziale, prevista dalla Costituzione della Repubblica del 1948, perché con essa il re valutava nel merito l’atto e poteva rifiutarlo se riteneva la legge in esame non rispondente all’indirizzo politico perseguito dalla corona. Il re decideva automaticamente circa il governo ed il Parlamento si limitava a fare le leggi (collettivamente, con l’apporto del re e la sua sanzione).

Nella prassi Carlo Alberto cercò di far in modo che il proprio governo avesse la fiducia del parlamento, sostituendolo quando questa fosse venuta meno. Questo portò nel giro di un anno alla formazione di quattro gabinetti diversi, senza alcun voto di fiducia. A partire dal 1852, però, con l’avvento di Camillo Cavour, fu lui il capo della maggioranza parlamentare e, nei periodi di crisi, fu il sostegno della Camera dei deputati a imporre il reincarico a Cavour rispetto all’aspirazione del re a sostituirlo. Venne prevalendo nella prassi applicativa un sostanziale riconoscimento da parte del re che il “suo” governo dovesse godere della fiducia della camera dei deputati e si passò quindi ad una forma di stato di tipo parlamentare. Il re fu considerato più quale rappresentante dell’unità nazionale che come capo dell’esecutivo. Inizialmente, però, i ministri erano considerati come singoli collaboratori del re, senza riconoscimenti ufficiali di loro riunioni in organi collegiali. Lo Statuto non menziona la figura del presidente del Consiglio dei ministri. I ministri (che potevano anche non essere parlamentari) rispondevano per gli atti del re, dei quali dovevano essere controfirmatari, non politicamente verso le Camere ma giuridicamente davanti ai tribunali.

Il Parlamento

Il parlamento era composto da due Camere: il Senato di nomina regia, vitalizia, che non poteva sciogliersi e la Camera dei deputati, eletta su base censitaria e maschile, a collegio uninominale ed a doppio turno di elezione. Il bicameralismo si sviluppò con prevalenza politica della Camera bassa. I progetti di legge potevano essere promossi dal Governo, dai parlamentari, oltre che dal re. Per diventare legge dovevano essere approvati nello stesso testo da entrambe le Camere, senza ordine di precedenza (a parte quelle tributarie e di bilancio che dovevano passare prima per la Camera dei deputati) e dovevano essere munite di sanzione regia. Le due camere ed il re rappresentavano perciò per lo Statuto i “tre corpi legislativi”: bastava che uno di essi fosse contrario e per quella sessione il progetto non poteva più essere riprodotto. L’art. 9 dello Statuto prevedeva l’istituto della proroga delle sessioni, utile al sovrano per ridurre a più miti consigli una camera dei deputati contraria a una sua decisione.

La magistratura del regno

Per quanto riguardava la Giustizia, essa “emana dal Re”, che nominava i giudici ed aveva il potere di concedere la grazia e commutare le pene. A garanzia del cittadino stava il rispetto del giudice naturale e il divieto del tribunale straordinario, la pubblicità delle udienze e dei dibattimenti. Prima dello Statuto il re aveva il potere discrezionale di nominare, promuovere, spostare e sospendere i suoi giudici. Lo Statuto introduceva ulteriori garanzie per i cittadini e per i giudici i quali dopo tre anni di esercizio avevano garantita l’inamovibilità. L’articolo 73 esclude poi la possibilità di prendere in considerazione il precedente giurisprudenziale per le decisioni nei supremi tribunali statali. L’interpretazione del giudice con rilievo direttamente normativo cadde così definitivamente e ad esso si sostituì il potere legislativo statale. La magistratura rappresentava non un potere, ma un ordine direttamente soggetto al Ministero della giustizia. Il controllo sull’attività del singolo giudice era affidato soprattutto ad altri giudici: Siccardi trovò ragionevole che ciò facesse capo all’organo più elevato, la Corte di cassazione. Non esisteva un organo indipendente di autogoverno della magistratura come l’odierno Consiglio superiore della magistratura.

La festa dello Statuto

La festa dello Statuto Albertino fu celebrata per la prima volta il 27 febbraio 1848, dopo che lo Statuto era stato annunciato l’8 febbraio, ma non ancora proclamato.

Già festa nazionale del Regno di Sardegna, fu spostata alla prima domenica di giugno e fu estesa alle altre regioni in seguito alle annessioni.

Il significato della festa mutò durante gli anni: inizialmente era una festa liberale e vi furono incidenti perché si voleva celebrarla anche nelle chiese con il canto del Te Deum. Essendo una festa civile, i vescovi si opposero e per questo furono a volte condannati. Dopo la conquista di Roma invece la festa risorgimentale più controversa divenne il 20 settembre, ricordo della breccia di Porta Pia. Gradualmente la festa dello Statuto assunse il significato di festa della Monarchia.

Il cinquantenario dello Statuto fu celebrato solennemente il 4 marzo 1898. La festa dello Statuto fu celebrata anche durante il periodo fascista, quando però lo Statuto già era stato svuotato di gran parte del suo valore. La Festa dello Statuto era una delle occasioni solenni in cui i Cavalieri dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata potevano indossare i grandi Collari, anziché i piccoli.

STATUTO DEL REGNO DI SARDEGNA

 Carlo Alberto Per la grazia di Dio Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme ECC. ECC. ECC.

Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri amatissimi sudditi col Nostro proclama dell’8 dell’ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare, in mezzo agli eventi straordinarii che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agl’interessi ed alla dignità della Nazione.

Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale come un mezzo il più sicuro di raddoppiare coi vincoli d’indissolubile affetto che stringono all’itala Nostra Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d’obbedienza e d’amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedirà le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell’antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge Fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue:

Art. 1 – La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi.

Art. 2 – Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono èereditario secondo la legge salica.

Art. 3 – Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere; il Senato, e quella dei Deputati.

Art. 4 – La persona del Re è sacra ed inviolabile.

Art. 5 –Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare: dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere.

Art. 6 – Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato: e fa i decreti e regolamenti necessarii per l’esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza, o dispensarne.

Art. 7 – Il Re solo sanziona le leggi e le promulga.

Art. 8 – Il Re può far grazia e commutare le pene.

Art. 9 – Il Re convoca in ogni anno le due Camere: può prorogarne le sessioni, e disciogliere quella dei Deputati; ma in quest’ultimo caso ne convoca un’altra nel termine di quattro mesi.

Art. 10 – La proposizione delle leggi apparterrà al Re ed a ciascuna delle due Camere. Però ogni legge d’imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato sarà presentata prima alla Camera dei Deputati.

Art. 11 – Il Re èmaggiore all’età di diciotto anni compiti.

Art. 12 – Durante la minorità del Re, il Principe suo più prossimo parente nell’ordine della successione al Trono sarà Reggente del Regno, se ha compiti gli anni vent’uno.

Art. 13 – Se, per la minorità del Principe chiamato alla Reggenza, questa è devoluta ad un parente più lontano, il Reggente, che sarà entrato in esercizio, conserverà la Reggenza fino alla maggiorità del Re.

Art. 14 –In mancanza di parenti maschi, la Reggenza apparterrà alla Regina Madre.

Art. 15 – Se manca anche la Madre, le Camere, convocate fra dieci giorni dai Ministri, nomineranno il Reggente.

Art. 16 – Le disposizioni precedenti relative alla Reggenza sono applicabili al caso, in cui il Re maggiore si trovi nella fisica impossibilità di regnare. Però, se l’Erede presuntivo del Trono ha compiuti diciotto anni, egli sarà in tal caso di pieno diritto il Reggente.

Art. 17 – La Regina Madre ètutrice del Re finché egli abbia compiuta l’età di sette anni: da questo punto la tutela passa al Reggente.

Art. 18 – I diritti spettanti alla podestà civile in materia beneficiaria, o concernenti all’esecuzione delle Provvisioni d’ogni natura provenienti dall’estero, saranno esercitati dal Re.

Art. 19 – La dotazione della Corona è conservata durante il Regno attuale quale risulterà dalla media degli ultimi dieci anni.

Il Re continuerà ad avere l’uso dei Reali palazzi, ville e giardini e dipendenze, non che di tutti indistintamente i beni mobili spettanti alla Corona, di cui sarà fatto inventario a diligenza di un Ministro responsabile.

Per l’avvenire la dotazione predetta verrà stabilita per la durata di ogni Regno dalla prima legislatura, dopo l’avvenimento del Re al Trono.

Art. 20 – Oltre i beni, che il Re attualmente possiede in proprio, formeranno il privato suo patrimonio ancora quelli, che potesse in seguito acquistare a titolo oneroso o gratuito, durante il suo Regno.

Il Re può disporre del suo patrimonio privato sia per atti fra vivi, sia per testamento, senza essere tenuto alle regole delle leggi civili, che limitano la quantità disponibile. Nel rimanente il patrimonio del Re è soggetto alle leggi che reggono le altre proprietà.

Art. 21 – Sarà provveduto per legge ad un assegnamento annuo pel Principe ereditario giunto alla maggiorità, od anche prima in occasione di matrimonio; all’appannaggio dei Principi della Famiglia e del Sangue Reale delle condizioni predette; alle doti delle Principesse; ed al dovario delle Regine.

Art. 22 –Il Re, salendo al trono, presta in presenza delle Camere riunite il giuramento di osservare lealmente il presente Statuto.

Art. 23 – Il Reggente prima d’entrare in funzioni, presta il giuramento di essere fedele al Re, e di osservare lealmente lo Statuto e le Leggi dello Stato.

 Dei diritti e dei doveri dei cittadini

 Art. 24 –Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge.

Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi.

Art. 25 – Essi contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.

Art. 26 – La libertà individuale è guarentita.

Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch’essa prescrive.

Art. 27 – Il domicilio èinviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme ch’essa prescrive.

Art. 28 – La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi.

Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo.

Art. 29 – Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili.

Tuttavia, quando l’interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto od in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi.

Art. 30 – Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re.

Art. 31 – Il debito pubblico è guarentito.

Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile.

Art. 32 – È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica.

Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia.

 Del Senato

 Art. 33 – Il Senato ècomposto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l’età di quarant’anni compiuti, e scelti nelle categorie seguenti:

1° Gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato;

2° Il Presidente della Camera dei Deputati;

3° I Deputati dopo tre legislature, o sei anni di esercizio;

4° I Ministri di Stato;

5° I Ministri Segretarii di Stato;

6° Gli Ambasciatori;

7° Gli Inviati straordinarii, dopo tre anni di tali funzioni;

8° I Primi Presidenti e Presidenti del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti;

9° I Primi Presidenti dei Magistrati d’appello;

10° L’Avvocato Generale presso il Magistrato di Cassazione, ed il Procurator Generale, dopo cinque anni di funzioni;

11° I Presidenti di Classe dei Magistrati di appello, dopo tre anni di funzioni;

12° I Consiglieri del Magistrato di Cassazione e della Camera dei Conti, dopo cinque anni di funzioni;

13° Gli Avvocati Generali o Fiscali Generali presso i Magistrati d’appello, dopo cinque anni di funzioni;

14° Gli Uffiziali Generali di terra e di mare;

Tuttavia i Maggiori Generali e i Contr’Ammiragli dovranno avere da cinque anni quel grado in attività;

15° I Consiglieri di Stato, dopo cinque anni di funzioni;

16° I Membri dei Consigli di Divisione, dopo tre elezioni alla loro presidenza;

17° Gli Intendenti Generali, dopo sette anni di esercizio;

18° I membri della Regia Accademia delle Scienze, dopo sette anni di nomina;

19° I Membri ordinarii del Consiglio superiore d’Istruzione pubblica, dopo sette anni di esercizio;

20° Coloro che con servizii o meriti eminenti avranno illustrata la Patria;

21° Le persone, che da tre anni pagano tre mila lire d’imposizione diretta in ragione de’ loro beni, o della loro industria.

Art. 34 – I Principi della Famiglia Reale fanno di pien diritto parte del Senato. Essi seggono immediatamente dopo il Presidente. Entrano in Senato a vent’un anno, ed hanno voto a venticinque.

Art. 35 – Il Presidente e i Vice Presidenti del Senato sono nominati dal Re.

Il Senato nomina nel proprio seno i suoi Segretarii.

Art. 36 – Il Senato ècostituito in Alta Corte di Giustizia con decreto del Re per giudicare dei crimini di alto tradimento, e di attentato alla sicurezza dello Stato, e per giudicare i Ministri accusati dalla Camera dei Deputati.

In questi casi il Senato non è Corpo politico. Esso non può occuparsi se non degli affari giudiziarii, per cui fu convocato, sotto pena di nullità.

Art. 37 – Fuori del caso di flagrante delitto, niun Senatore può essere arrestato se non in forza di un ordine del Senato. Esso è solo competente per giudicare dei reati imputati ai suoi membri.

Art. 38 – Gli atti, coi quali si accertano legalmente le nascite, i matrimonii e le morti dei Membri della Famiglia Reale, sono presentati al Senato, che ne ordina il deposito ne’ suoi archivi.

 Della Camera dei Deputati

Art. 39 – La Camera elettiva ècomposta di Deputati scelti dai Collegii Elettorali conformemente alla legge.

Art. 40 – Nessun Deputato può essere ammesso alla Camera, se non èsuddito del Re, non ha compiuta l’età di trent’anni, non gode i diritti civili e politici, e non riunisce in sé gli altri requisiti voluti dalla legge.

Art. 41 – I Deputati rappresentano la Nazione in generale, e non le sole provincie in cui furono eletti.

Nessun mandato imperativo può loro darsi dagli Elettori.

Art. 42 – I Deputati sono eletti per cinque anni: il loro mandato cessa di pien diritto alla spirazione di questo termine.

Art. 43 – Il Presidente, i Vice Presidenti e i Segretarii della Camera dei Deputati sono da essa stessa nominati nel proprio seno al principio d’ogni sessione per tutta la sua durata.

Art. 44 – Se un Deputato cessa, per qualunque motivo, dalle sue funzioni, il Collegio che l’aveva eletto sarà tosto convocato per fare una nuova elezione.

Art. 45 – Nessun Deputato può essere arrestato, fuori del caso di flagrante delitto, nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio in materia criminale, senza il previo consenso della Camera.

Art. 46 – Non può eseguirsi alcun mandato di cattura per debiti contro di un Deputato durante la sessione della Camera, come neppure nelle tre settimane precedenti e susseguenti alla medesima.

Art. 47 – La Camera dei Deputati ha il diritto di accusare i Ministri del Re, e di tradurli dinanzi all’Alta Corte di Giustizia.

Disposizioni comuni alle due Camere 

Art. 48 – Le sessioni del Senato e della Camera dei Deputati cominciano e finiscono nello stesso tempo. Ogni riunione di una Camera fuori del tempo della sessione dell’altra è illegale, e gli atti ne sono intieramente nulli.

Art. 49 – I Senatori ed i Deputati prima di essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni prestano il giuramento di essere fedeli al Re, di osservare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato, e di esercitare le loro funzioni col solo scopo del bene inseparabile del Re e della Patria.

Art. 50 – Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione od indennità.

Art. 51 – I Senatori ed i Deputati non sono sindacabili per ragione delle opinioni da loro emesse e dei voti dati nelle Camere.

Art. 52 – Le sedute delle Camere sono pubbliche. Ma, quando dieci membri ne facciano per iscritto la domanda, esse possono deliberare in segreto.

Art. 53 –Le sedute e le deliberazioni delle Camere non sono legali né valide, se la maggiorità assoluta dei loro membri non èpresente.

Art. 54 – Le deliberazioni non possono essere prese se non alla maggiorità de’ voti.

Art. 55 –Ogni proposta di legge debb’essere dapprima esaminata dalle Giunte che saranno da ciascuna Camera nominate per i lavori preparatorii. Discussa ed approvata da una Camera, la proposta sarà trasmessa all’altra per la discussione ed approvazione; e poi presentata alla sanzione del Re.

Le discussioni si faranno articolo per articolo.

Art. 56 – Se un progetto di legge èstato rigettato da uno dei tre poteri legislativi, non potrà essere più riprodotto nella stessa sessione.

Art. 57 – Ognuno che sia maggiore di età ha il diritto di mandare petizioni alle Camere, le quali debbono farle esaminare da una Giunta, e, dopo la relazione della medesima, deliberare se debbano essere prese in considerazione, ed, in caso affermativo, mandarsi al Ministro competente, o depositarsi negli uffizi per gli opportuni riguardi.

Art. 58 – Nissuna petizione può essere presentata personalmente alle Camere.

Le Autorità costituite hanno sole il diritto di indirizzar petizioni in nome collettivo.

Art. 59 – Le Camere non possono ricevere alcuna deputazione, né sentire altri, fuori dei proprii membri, dei Ministri, e dei Commissarii del Governo.

Art. 60 – Ognuna delle Camere èsola competente per giudicare della validità, dei titoli di ammessione dei proprii membri.

Art. 61 – Così il Senato, come la Camera dei Deputati, determina, per mezzo d’un suo Regolamento interno, il modo secondo il quale abbia da esercitare le proprie attribuzioni.

Art. 62 – La lingua italiana èla lingua officiale delle Camere.

È però facoltativo di servirsi della francese ai membri, che appartengono ai paesi, in cui questa èin uso, od in risposta ai medesimi.

Art. 63 – Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione, e per isquittinio segreto. Quest’ultimo mezzo sarà sempre impiegato per la votazione del complesso di una legge, e per ciò che concerne al personale.

Art. 64 – Nessuno può essere ad un tempo Senatore e Deputato.

 Dei Ministri

 Art. 65 – Il Re nomina e revoca i suoi Ministri.

Art. 66 – I Ministri non hanno voto deliberativo nell’uno o nell’altra Camera se non quando ne sono membri.

Essi vi hanno sempre l’ingresso, e debbono essere sentiti sempre che lo richieggano.

Art. 67 – I Ministri sono risponsabili.

Le Leggi e gli Atti del Governo non hanno vigore, se non sono muniti della firma di un Ministro.

 Dell’ordine giudiziario

 Art. 68 – La Giustizia emana dal Re, ed èamministrata in suo Nome dai Giudici ch’Egli istituisce.

Art. 69 – I Giudici nominati dal Re, ad eccezione di quelli di mandamento, sono inamovibili dopo tre anni di esercizio.

Art. 70 – I Magistrati, Tribunali, e Giudici attualmente esistenti sono conservati. Non si potrà derogare all’organizzazione giudiziaria se non in forza di una legge.

Art. 71 – Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali.

Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie.

Art. 72 – Le udienze dei Tribunali in materia civile, e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi.

Art. 73 – L’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo.

 Disposizioni generali

 Art. 74 – Le istituzioni comunali e provinciali, e la circoscrizione dei comuni e delle provincie sono regolati dalla legge.

Art. 75 –La Leva militare è regolata dalla legge.

Art. 76 – È istituita una Milizia Comunale sovra basi fissate dalla legge.

Art. 77 – Lo Stato conserva la sua bandiera: e la coccarda azzurra è la sola nazionale.

Art. 78 – Gli Ordini Cavallereschi ora esistenti sono mantenuti con le loro dotazioni. Queste non possono essere impiegate in altro uso fuorché in quello prefisso dalla propria istituzione.

Il Re può creare altri Ordini, e prescriverne gli statuti.

Art. 79 – I titoli di nobiltà sono mantenuti a coloro, che vi hanno diritto. Il Re può conferirne dei nuovi.

Art. 80 – Niuno può ricevere decorazioni, titoli, o pensioni da una potenza estera senza l’autorizzazione del Re.

Art. 81 – Ogni legge contraria al presente Statuto èabrogata.

 Disposizioni transitorie

 Art. 82 – Il presente Statuto avrà il pieno suo effetto dal giorno della prima riunione delle due Camere, la quale avrà luogo appena compiute le elezioni. Fino a quel punto sarà provveduto al pubblico servizio di urgenza con Sovrane disposizioni, secondo i modi e le forme sin qui seguite, ommesse tuttavia le interinazioni e registrazioni dei Magistrati, che sono fin d’ora abolite.

Art. 83 – Per l’esecuzione del presente Statuto il Re si riserva di fare le leggi sulla Stampa, sulle Elezioni, sulla Milizia Comunale, e sul riordinamento del Consiglio di Stato.

Sino alla pubblicazione della legge sulla Stampa rimarranno in vigore gli ordini vigenti a quella relativi.

Art. 84 – I Ministri sono incaricati e responsabili della esecuzione e della piena osservanza delle presenti disposizioni transitorie.

Dato in Torino addì quattro del mese di marzo l’anno del Signore mille ottocento quarantotto, e del Regno Nostro il decimo ottavo.

 Carlo Alberto

 Il Ministro e Primo Segretario di Stato per gli affari dell’Interno, Borelli

 Il primo Segretario di Stato per gli affari Ecclesiastici, di Grazia e di Giustizia, Dirigente la Grande Cancelleria, Avet

 Il Primo Segretario di Stato per gli affari di Finanze, Di Revel

 Il Primo Segretario di Stato dei Lavori pubblici, dell’Agricoltura, e del Commercio, Des Ambrois

 Il Primo Segretario di Stato per gli Affari Esteri, E. di San Marzano

 Il Primo Segretario di Stato per gli affari di Guerra e Marina, Broglia

 Il Primo Segretario di Stato per la pubblica Istruzione, C. Alfier

Indice

Lo Statuto fondamentale Monarchia Savoia

  1. Questioni formali
  • Diritti e doveri dei regnicoli
  • Ordinamento del regno
  • Il Parlamento
  • La magistratura del regno
  • La festa dello Statuto
  • Statuto del Regno di Sardegna
  • Dei diritti e dei doveri dei cittadini
  • Del Senato
  1. Della Camera dei Deputati
  1. Disposizioni comuni alle due Camere
  1. Dei Ministri
  1. Dell’ordine giudiziario
  1. Disposizioni generali
  1. Disposizioni transitorie