IL FILO ROSSO cap I e II

Capitolo I

Una rivoluzione.
Venne disposto, con un’articolata legge, che in ogni Tribunale d’Italia dovesse essere allestita una struttura composta da una sala convegni dibattiti con tutte le attrezzature necessarie. In questa struttura si sarebbe dovuto dibattere sulla Amministrazione della Giustizia da parte, esclusivamente, di cittadini, colti e non colti. L’unico obbligo per i conferenzieri e per i partecipanti  era quello di non debordare nel tecnicismo . Questo, si sa, è demandato ai politici,  agli avvocati, ai magistrati, ai professori nelle università, ai giureconsulti, ai giuristi, ed agli studiosi della materia, e così, dopo non poche querelles tra politici da una parte  e magistrati ed accademici dall’altra (quest’ultime due categorie intravedevano un Tribunale del popolo che avrebbe potuto ridiscutere le sentenze)  si ebbe la legge che, bisogna dirlo, venne quasi subito adottata anche da altre Nazioni. La cosa strabiliante è che queste strutture vennero realizzate nel giro di pochi mesi, così come vennero, sempre in pochi mesi, emessi ed attuati i regolamenti per il loro funzionamento.
Un certo giorno, di pomeriggio inoltrato (queste strutture funzionavano dalle ore 18 in poi).
Giano Della Bella di professione avvocato, soprannominato “collericus”, andò nel tribunale da lui praticato, per vedere  come e se  realmente funzionasse la faccenda. Arrivò in una grande sala semicircolare, in fondo alla quale vi era una postazione attrezzata con più microfoni, un grosso schermo e di lato e di fronte sedie ai lati delle quali vi erano due pulsanti, uno rosso l’altro nero. La sala era semipiena. Ad un certo momento entrò un uomo tra i 30 e 40 anni che si impossessò del microfono ed, avuto il silenzio degli astanti, comunicò di essere, appunto, il gestore del microfono. E spiegò che chiunque, con cravatta o senza, con giacca o senza, ma con abbigliamento sobrio, poteva prenotarsi il microfono: sia per porre un argomento, pigiando il pulsante rosso, sia per discuterlo, pigiando quello nero. Il tutto veniva evidenziato su un ampio monitor che così regolava gli interventi (che non potevano superare i 10 minuti). Il gestore, dopo aver tanto comunicato con poche parole, aggiunse che quanto si sarebbe detto sarebbe stato registrato, vuoi per consegnare ai richiedenti copia cartacea, vuoi per identificare quelli che si lasciavano andare ad ingiurie, accuse, calunnie, turpiloqui …
Giano si  sedette ed osservò . Il monitor registrava sei richieste di porre argomenti (dimenticavo di dire che gli argomenti  proposti dovevano essere inviati al monitor con non più di venti righe). Il Gestore aveva autorizzato quelli non contenenti, l’abbiamo detto, ingiurie e turpiloquio. (Per quelli non autorizzati era previsto un reclamo al Collegio di tre saggi).
Il primo di quelli autorizzati salì sul podio e si presentò. Aveva cinquant’anni, moglie e due figli. Era elettricista, impiegato presso il Comune.
L’Argomento: le leggi sono scritte in italiano. I deputati ed i senatori, cioè circa 900 persone, le leggono, e qui agitò la testa, e poi  le dibattono. Esse sono anche precedute dai cosidetti lavori preparatori . Perché  dunque nascono tante interpretazioni, se l’art. 12 delle preleggi è così chiaro?  L’elettricista, che dimostrava di non essere un fesso, avvertì l’esigenza di spiegare: seguo mia figlia che studia giurisprudenza e così mi vengono molte domande specialmente quando, poi, leggo ciò che accade, sempre più spesso, nei nostri tribunali. Così brevemente illustrata la sua domanda si scusò per le sue imprecisioni, ringraziò i partecipanti e ritornò al suo posto per ascoltare i vari interventi.
Le altre domande erano sostanzialmente identiche e provenivano da un medico, da un docente di latino, da un laureato in giurisprudenza, titolare di una concessionaria per la vendita di imbarcazioni da diporto e dirigente di confindustria, da un infermiere  professionale e da un ufficiale della polizia di stato. Riassumo l’argomento / domanda. Se la norma, sostanziale o processuale, ben delinea e regola la fattispecie astratta  e se il caso concreto è ben inquadrabile, e generalmente  lo è, stante la chiarezza della normativa sostanziale e processuale, come può accadere che la diversità interpretativa della norma e dello stesso fatto aumenti sempre più, arrivandosi, per questa via , ad imputazioni ed a sentenze  “creative” . Fenomeno che investe qualche volta anche le Supreme Corti.
Gli interroganti concludevano chiedendo non risposte tecnico – giurisprudenziali e dottrinarie, perché, ritenevano che, attraverso questa via, ogni argomentazione fosse sostenibile e quindi ogni sentenza potesse essere manomessa da parte di un giudice corrotto (fortunatamente questa della corruzione dei giudici è un fenomeno circoscritto).

Capitolo II

A questo punto, mentre  il monitor elencava gli interventori autorizzati,  un signore, dall’apparente età di sessant’anni, ben rasato, cravatta firmata, orologio d’oro, modi misurati, voce bassa, senza essere autorizzato si impossessò del microfono, disse di appartenere al mondo giudiziario . Non aggiunse altro sul suo lavoro .Riferisco il suo lapidario e duro pensiero : contesto la domanda, ne rilevo l’infondatezza, la genericità e la pretestuosità. Sono domande che presuppongono la totale ignoranza del diritto in genere e dell’impegno e della professionalità dei Magistrati e, senza esagerare,  del travaglio interiore, specialmente del giudicante (ma anche del P.M. allorquando avvia una indagine) nell’emettere un provvedimento giurisdizionale interlocutorio o definitivo che sia. Si intravede – qui il tono si fece duro – il sempre reiterato tentativo di colpire l’indipendenza del giudice. Professionalità e terzietà per il Magistrato sono premio e cilicio insieme. Per tutta la sua vita. Ciò detto depose il microfono. Non ritornò alla sua sedia ed andò via. Il Gestore si riservò di adottare gli opportuni provvedimenti nei suoi confronti.
Il secondo interventore, autorizzato,  afferrò il microfono, salutò i presenti, inneggiò alla rivoluzionaria legge che gli ricordava Hide park al tempo della sua frequentazione di un corso di specializzazione in psichiatria, appunto a Londra. Precisò che proprio per l’attività di medico era stato indotto a frequentare il mondo del diritto o, meglio, il mondo giudiziario . Con molto garbo si rammaricò del fatto che il precedente interventore – quello non autorizzato –  non avesse affrontato il tema con argomentazioni a supporto delle sue affermazioni. Aggiunse, poi, di essere autore di due trattati e di moltissimi altri scritti su alcune patologie psichiatriche,  e di un testo adottato dall’università. Ciò premesso (sto facendo il SUNTO) affermò che il suo testo, i suoi scritti,  le sue perizie, non fossero mai state contestate quanto alla loro comprensione ed ai ragionamenti quali articolati, né dagli allievi, né dai colleghi docenti universitari, né dai giudici,  né dagli avvocati, i quali ultimi hanno, invero, spesso ed a seconda della posizione del loro assistito, contestato il risultato, ma mai la chiarezza espositiva, la logicità del ragionamento e la conseguenzialità delle conclusioni; e così terminando il suo intervento “stabilì che”, allorquando ciò che si è scritto corrisponde a quanto pensato e voluto, interpretazioni diverse dal senso letterale possono esservi solo di rado . Nell’emanare una legge gli errori tecnici del legislatore, di raccordo e di coordinamento in sede applicativa processuale, per esempio, sono rari. Altra questione è la litigiosità degli umani, acuita, qualche volta, da interessati avvocati. La soluzione del crescente contenzioso civile, ma anche di quello penale, almeno in Italia, sta nel Magistrato. Ed il legislatore deve intervenire in tal senso . A questo punto ringraziò i presenti e ritornò al suo posto.
Raggiunse il podio il Professore di latino – autorizzato – il quale, dopo aver salutato i presenti, avvertì l’esigenza di chiarire perché avesse preso la parola. Aveva, infatti, in corso un giudizio di divisione ereditaria – peraltro di modesta entità – con gli eredi di un fratello premorto, giudizio che  durava da circa diciotto anni.
Il problema della Giustizia – affermò – nasce con la prima organizzazione sociale. L’istinto umano è quello che è, anche nel giudice. L’hanno affrontato, senza risolverlo , gli egizi, i greci, i romani. Insomma il mondo allora conosciuto; ed a mò di esempio, citò l’istituto della locazione e del trasporto di merci quali regolamentati dagli Illiri. Richiamò l’attenzione sul codice giustinianeo e  su quello Napoleonico per affermare che i suoi studi – anche attuali – dimostravano la irresolubilità della questione Giustizia, semmai questa esista nei termini che appaiono su i giornali di oggi. Egli, orgogliosamente, disse di essere di sinistra e aggiunse che le polemiche in corso “sul potere interpretativo” altro non erano se non il solito tentativo di lobby ben individuabili, con propri alfieri nelle istituzioni, protese a difendere i propri cospicui interessi ( e con tono ironico)  che non dovevano essere messi in pericolo da una magistratura che non voleva stare al suo posto . Ma quali interpretazioni e sentenze creative!
I  magistrati sono seri e non politicizzati . La politica è fuori dalle sentenze. Scienza, coscienza e fatica connotano il Magistrato. Egli ne è certo perché spesso ne discute con amici magistrati e con la figlia architetto, Consulente Tecnico d’Ufficio del Tribunale, ben accreditata per la sua professionalità e tanto allorquando si riuniscono nella sua villa al mare . Deposto il microfono, ringraziò tutti e ritornò alla sua sedia  ove sostò solo qualche minuto, dopo di che si allontanò.