Il potere della magistratura nell’italia del terzo millennio

In questi giorni sta divampando, come era prevedibile, la polemica tra l’associazione rappresentativa della magistratura italiana, ed in particolare con alcune delle sue “correnti” ed il Governo.

Non è la prima volta che la magistratura Italiana, specie per ciò che riguarda le sue correnti più “impegnate”, tenta di bloccare, talvolta riuscendoci, un provvedimento che la riguardi più o meno da vicino.

I casi sono noti ed è inutile elencarli. In questi giorni il decreto c.d. “salva tutti” (sarebbe curioso capire chi sia a proporre tali denominazioni che platealmente i mass media ripetono con martellante insistenza) ha scatenato l’ira delle toghe. Ora, senza voler analizzare il disegno di legge, il problema che si pone è questo: è compito della magistratura, o meglio, dell’associazione rappresentativa di questa, intervenire in via preliminare sull’opera del legislatore? E’ compito del C.S.M. quello di voler esercitare una sorta di controllo preventivo sulle leggi che di volta in volta si propongono di regolare le modifiche del processo penale, dell’ordinamento giudiziario e via dicendo? E’ una domanda non retorica né di poco  conto visto il clima continuo di rissa tra poteri dello Stato che da anni lascia allibiti i cittadini.

Può la magistratura operare una sorta di moral suasion sul Parlamento, sul Governo o addirittura sul Presidente della Repubblica? Gli esponenti dell’Anm o del C.S.M., che tramite i mass media (e spesso tramite giornalisti compiacenti che sembrano avere rapporti molto “amichevoli” con talune Procure della Repubblica) travalicano o no il loro ruolo istituzionale? E’ una domanda che richiederebbe troppo tempo e molte pagine per la risposta. E bisogna pur dire che la risposta che ciascunopuò dare dipende anche da valutazioni spesso deformate da diverse opinioni politiche.

Si vuole, però, sottolineare e portare all’attenzione la risposta che diede il grande magistrato liberale e Presidente emerito della Corte Costituzionale Vincenzo Caianiello, liberale autentico e uomo delle istituzioni.

Nel 2005, sotto il titolo di “Istituzioni e liberalismo” è stata pubblicata,a cura di Fabio Cintioli, per la casa editrice Rubbettino, una raccolta di saggi di Caianiello sui vari argomenti: dal tema della cultura della legalità nel mezzogiorno a quello delle authorities; dal parere (negativo) sul mandato d’arresto europeo a quello sul conflitto d’interessi e altri ancora.

Caianiello, infatti, nell’ultima parte della sua vita, dopo aver sempre mantenuto il più stretto riserbo delle sue posizioni, ritenendo che il giudice non dovesse pronunciarsi in tal senso per non far sorgere sospetti sulla sua imparzialità, nell’ultima parte della sua vita si diceva, cominciò ad intervenire con sempre maggior frequenza su tutti i temi di più scottante attualità. Egli riteneva che fosse quello il modo di esercitare una sorta di dovere civico. In uno dei saggi, intitolato “Giustizia penale tra funzione e missione” l’autore scrive: “(…) molti comportamenti dei nostri magistrati (di rado appartenenti al ruolo di giudicanti) si collocano in una posizione ancora più estrema, rifiutando addirittura, con quei comportamenti, di sentirsi partecipi di una medesima sovranità. Essi sembrano agire e proclamarsi, in camicia o con i fax, come titolari di una sovranità parallela, (non condizionabile in alcun modo da quella nella quale si collocano gli altri poteri) anche se priva di legittimazione democratica nel senso inteso dal costituzionalismo liberale (cui chi scrive rimane inguaribilmente legato), ma acclamata dal circuito Popolare-mediatico, con lo stesso che viene giustamente conadannato da alcuni intellettuali, ma solo a senso unico, quando non fa comodo alla loro parte. Insomma la giurisdizione vista non come attuazione del diritto nel caso concreto, ma come “predicazione” di una astratta “legalità”.”

Dunque Caianiello criticò aspramente la magistratura che scelse, a suo avviso, di esorbitare da quelle che sono le sue le sue funzioni per invadere la sfera del politico. Scrive infatti l’autore: “(…) Chi si investe del “controllo della legalità”, difficilmente può essere disposto a vederlo ridimensionato. Un controllo peraltro che, stranamente, quando viene evocato, suscita reminiscenze di altri ordinamenti. L’art. 113 dell’ultima Costituzione sovietica prevedeva: “l’alta vigilanza sull’esatta applicazione delle leggi da parte del Ministero e dalle istituzioni che da essi dipendono, è demandata al procuratore generale dell’ Urss ”, nominato (art.114) dal Soviet supremo dell’ Urss e che nominava (art 115) i procuratori delle Repubbliche, dei territori, delle regioni,delle Repubbliche autonome. Vale la pena di immaginare le reazioni che si avrebbero, come accaduto in passato in scamiciati spot televisivi, se qualcuno tentasse sul serio ridimensionare la “criminalizzazione della vita collettiva” che dà tanto potere ai pubblici ministeri i quali proprio a causa di tale affollamento godono del privilegio di stabilire, senza dover conto a nessuno,  quali reati  e persone perseguire e quali lasciare nel dimenticatoio”.

Egli nel saggio “Giustizia: torniamo alla Costituzione dice non solo che il Csm dovrebbe avere natura esclusivamente amministrativa e che le sue funzioni anch’esse di natura non solo amministrativa dovrebbero esse solo quelle elencate dall’art. 105 Cost., ma aggiunge che servirebbe una legge dello Stato che disciplini i criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale, da attuarsi sotto l’alta direzione del Procuratore Generale della Corte di Cassazione e attuata dai Procuratori generali, restituiti dalla loro dignità.”

Le osservazioni,animate da profonda passione civile di Vincenzo Caianiello, possono essere condivise o meno anche in ragion delle diverse posizioni assunte da ciascuno su tema, quello del rapporto tra politica e magistratura, che notoriamente riscalda gli animi. Una cosa però è certa: tutti dovrebbero meditare sulle parole di Caianiello insigne studioso, uomo delle istituzioni e liberale vero.