Intervento dr. Luca Vittorio RAIOLA – Convegno 2007

Sulla responsabilità civile dei magistrati

 

Grazie a Camera di giustizia, innanzitutto, e grazie a tutti coloro che hanno deciso di essere qui.

È davvero un onore per me ricevere questa menzione, ed è davvero un piacere poter avere uno spazio dove esprimere il mio pensiero su uno dei problemi, quello della responsabilità civile dei magistrati, che è spia, punta dell’iceberg di una crisi, quella della giustizia italiana, che si sta in questi giorni rivelando in maniera molto preoccupante. Molte, troppe sarebbero le cose da dire, ma non voglio sottrarre tempo, e soprattutto non voglio fare un discorso tecnico, visto che scopo del concorso era quello di diffondere consapevolezza fra la società civile, fra la gente comune, che è quella che maggiormente risente della crisi della giustizia, quella che spesso deve subire, inerme, gli errori dei giudici. E allora voglio dire poche cose, che chiunque può afferrare con semplicità di testa e di cuore. In primo luogo una precisazione, forse inutile, ma che ritengo doverosa. Questo non è e non vuole essere un attacco alla magistratura, che anzi troppo spesso è pretestuosamente attaccata da soggetti a cui farebbe comodo una magistratura impotente, incapace di perseguirli. No, questa è una critica ad una legge, la 117/88 che rivela appieno la natura del legislatore italiano, un legislatore che ha creato un tale groviglio legislativo, tanto da non riuscire più nemmeno a contare le leggi che ha prodotto, come rileva Michele Ainis, nel suo prezioso libro, “La legge oscura.Come e perché non funziona”, un libro che chiunque dovrebbe leggere per capire come l’Italia non è uno stato che possiede una legislazione, ma una legislazione che possiede uno stato. Una riflessione sulla magistratura, sulle sue disfunzioni non può e non deve essere un attacco alla magistratura, così come le denunce sulle magagne dei politici non devono cadere nell’antipolitica, la rovinosa antipolitica che pure riprende a serpeggiare in Italia.

Dunque, dicevo, le legge 117/88 nasce male, malissimo. Essa, come ricorderanno i più ,seguì ad un referendum che, voluto anche da molti magistrati,sulla scia dell’indignazione popolare per il caso Tortora, rivelò quale fosse la volontà degli italiani, e cioè che anche i giudici devono rispondere dei propri errori. Bene. Anzi, male. Infatti seguì una legge che andò nel senso opposto, in quanto mai nessun magistrato, sulla scorta di tale legge ha mai risarcito nessuna vittima. Il problema è che la legge fu fatta apposta per non funzionare, come ricorda Francesco Gazzoni nel suo testo Diritto Privato, un testo che tra l’altro è suggerito per la preparazione al concorso in magistratura.  Subito dopo il referendum, infatti, come ricorda Luciano Violante, le toghe erano molto adirate contro chi aveva cavalcato l’onda referendaria, ma furono rassicurate: non preoccupatevi, sarà elaborata una legge ad hoc per voi, una legge che vi garantirà. Infatti i magistrati non hanno,chiedo scusa per la ripetizione, mai risarcito nessuno. Il punto è questo: se si dicesse esplicitamente ai cittadini che per determinati motivi di sistema i giudici devono essere esentati dalla responsabilità civile per giudicare con serenità, senza essere sotto la spada di Damocle del risarcimento civile, si potrebbe non condividere ma capire. Ciò che invece ripugna alla coscienza comune è una legge che dice una cosa per poi, di fatto realizzarne un’altra. Tra l’altro bisogna dire che anche recenti pronunce della CGCE rendono di difficile compatibilità la legge 117/88 con il diritto comunitario, visto che di riflesso, la normativa italiana sembra limitare irragionevolmente la possibilità di essere risarciti dallo stato. E non è solo questo. Se infatti, alla mancanza di responsabilità civile ci fosse come contrappeso un adeguato e funzionante sistema di sanzioni disciplinari il cittadino potrebbe ben essere soddisfatto. In questo caso, infatti, vi sarebbe una forma di soddisfazione per il cittadino e, soprattutto, non sarebbe violato il supremo principio democratico per il quale ogni potere deve essere assolutamente accompagnato da una qualche forma di responsabilità. Ebbene, dobbiamo chiederci: sono state sufficienti le sanzioni disciplinari in questi anni? La risposta è negativa, come ben dimostrano non solo gli studi del prof. Giuseppe Di Federico che fu tra l’altro componente del C.S.M., ma come pure dimostra il buon senso, la cronaca. Bastino due soli esempi.

Uno è quello dei due p.m. passati alla storia per quel caso di ingiustizia da manuale che fu il caso Tortora: uno, Lucio Di Pietro è attualmente viceprocuratore nazionale antimafia; l’altro Felice Di Persia oggi pensionato, è stato Procuratore aggiunto a Napoli con delega all’antimafia.

Altro esempio emblematico, che pure meritava molta più attenzione rispetto a quella dedicata dai mass media, è veramente sconcertante. Le promozioni possono essere negate solo a seguito di gravi violazioni disciplinari. Ma cosa s’intende per grave violazione disciplinare? È un concetto elastico? È quanto? Sembrerebbe molto elastico, così tanto da poter essere ritagliato a seconda dei soggetti ai quali viene applicato attraverso canoni ermeneutica abbastanza singolari. Sempre il prof Di Federico riporta il caso di un p.m. che, avendo dimenticato di ordinare la scarcerazione di un extracomunitario in detenzione preventiva, lo ha lasciato in cella per 15 mesi. Il p.m. aveva ricevuto dal C.S.M. la sanzione disciplinare dell’ammonimento (poco più di un buffetto). Il 18 febbraio 2004 il C.S.M. ha deciso di promuovere comunque quel p.m. A chi obiettava che il suo comportamento denotava mancanza di professionalità e diligenza, un consigliere ha risposto che dopotutto il pm era incorso in quella dimenticanza solo una volta e che quindi non si trattava di un comportamento abituale. È lampante dunque che, a causa di una sorta di corporativismo e di un fitto reticolo di complicità di fatto le sanzioni disciplinari sono inesistenti. Essendo la magistratura suddivisa per correnti (M.D, M.I., Unicost e così via) che poi di fatto eleggono del C.S.M., basta avere le giuste coperture per non pagare mai il conto. Un grande magistrato liberale, poi presidente emerito della Corte costituzionale, sottolineò l’assoluta necessità di togliere potere alle correnti, magari modificando il sistema per l’elezione dei componenti del C.S.M. ripristinando il maggioritario anziché il proporzionale. Io non so se ciò sia corretto, e non so nemmeno se sia fattibile, ma una cosa è certa: ci troviamo dinnanzi ad un vuoto di responsabilità, questo è sicuro. Così come è certo che tale vuoto è inammissibile e necessita di una seria riflessione. Una riflessione non viziata da prese di posizione ideologiche o di piccolo cabotaggio politico. Il punto dolens, come mi sono sforzato di sottolineare con il mio modesto lavoro, è che non sarà possibile una seria indagine sul tema, cioè che non sia sterile, improduttiva, che finisca in un mare di nulla, finchè ci porteremo dietro lo strascico di Tangentopoli, e tutte le polemiche legate a quel periodo, che ancora oggi, purtroppo, inquinano i rapporti tra politica e magistratura. Sarebbe bello, ma lungo svolgere un’ulteriore riflessione su questo tempo, ma non voglio annoiare i presenti. Dico solo che un totale ripensamento del nostro sistema istituzionale, dal punto di vista del sistema sia politico, che giudiziario, insomma complessivamente inteso è più che mai necessario per far sì che i cittadini si sentano tali e non si vedano degradati a sudditi. Grazie.